Non c’è più religione: il 55% degli Italiani sceglie il rito civile, soprattutto nel Centro-Nord

Sempre meno Italiani scelgono di sposarsi in chiesa: nel 2021, soltanto il 45,9% dei matrimoni è stato celebrato con rito religioso. Si tratta di un calo notevole e costante: nel 1980, l’87,6% dei matrimoni era religioso. Venti anni dopo, nel 2000 la percentuale era scesa al 75,3%, e nel 2010 al 63,5%. Nel 2018 era avvenuto il sorpasso dei matrimoni civili (50,1%) su quelli religiosi, ridotti al 49,9%. Un trend che continua tuttora, come mostra questo grafico (in cui il dato del 2020 è chiaramente anomalo, influenzato dalle restrizioni dovute al Covid).

Un dato, questo, che riflette un cambiamento culturale della popolazione italiana, sempre meno religiosa, e delle sue abitudini: se, infatti, nel 1960 il matrimonio civile era una rarità (1,6%), oggi è maggioritario.

Guardando poi al fenomeno da un punto di vista geografico, possiamo osservare come il matrimonio civile sia ormai la norma nella maggior parte delle regioni italiane: 68,6% nelle regioni del Nord-Ovest, 68,7% nel Nord-Est, e 65,7% nel Centro Italia. Il matrimonio religioso regge soltanto nel Sud Italia, dove il 65,6% dei matrimoni viene ancora celebrato con il rito religioso.

Chiese riaperte il 18 maggio: la vittoria della lobby dei vescovi è uno schiaffo a commercianti, imprenditori, ristoratori e lavoratori

Tanto tuonò che piovve. Dopo la polemica (assurda e irresponsabile) scatenata dalla lobby dei vescovi all’indomani dell’annuncio dell’inizio della cosiddetta “fase 2”, che ragionevolmente non prevedeva la riapertura delle chiese dal 4 maggio, è di ieri la notizia che il governo e la CEI hanno firmato un “protocollo d’intesa” per tornare a celebrare le messe in chiesa a partire dal 18 maggio.

La notizia è un vero e proprio schiaffo nei confronti di coloro che dovranno attendere invece l’inizio giugno per poter riaprire bar, ristoranti, negozi o aziende. È difficile infatti capire come la celebrazione pubblica delle messe possa avere priorità rispetto alla riapertura di attività economiche che hanno subito perdite ingenti in questi mesi, e che in molti casi si troveranno quest’anno a dover fare i conti con numerosi licenziamenti e il rischio di fallimento: non si capisce come le necessità di molti imprenditori e lavoratori che dipendono da attività economiche chiuse fino a giugno possano venire dopo rispetto al bisogno della lobby dei vescovi di celebrare con riti di massa (anziché con una ben più responsabile messa trasmessa via radio, tv o internet) il loro amico immaginario.

E non solo: a dover aspettare mentre le chiese riaprono saranno anche scuole, biblioteche, teatri, cinema e centri socioculturali, come fa giustamente notare Roberto Grendene, segretario dell’Unione Atei, Agnostici e Razionalisti (UAAR): «Ancora una volta la politica si mostra debole nei confronti delle richieste di corsie preferenziali che pervengono dalla Chiesa. Così il governo ha dato priorità alle riunioni di tipo religioso mentre altri tipi di riunioni continuano a essere vietate (teatro, presentazioni di libri, incontri in centri socio culturali, cinema, lo stesso diritto all’istruzione nella scuola pubblica). Di fatto, su pressione dei vescovi, il governo ha attuato un regime speciale per le riunioni a carattere religioso, regime speciale proibito dalla sentenza n. 45/1957 della Corte costituzionale. La libertà di riunione non deve consentire privilegi per qualcuno e divieti per altri. Nemmeno se questo qualcuno si ritiene il rappresentante di Dio in terra».

Come questo possa avvenire, però, è fin troppo chiaro: il tentativo del governo di procedere a una riapertura graduale del Paese si è ahimé scontrato con la reazione furiosa della lobby dei vescovi. I quali in questo modo hanno fatto capire al governo che o faceva come chiedevano, o la Conferenza Episcopale gli avrebbe scatenato contro l’inferno. E così, suo malgrado, ancora una volta il governo italiano si è dovuto piegare ai desiderata degli alti prelati, che per l’ennesima volta non hanno perso l’occasione per poter fare sfoggio della propria influenza.

Riaperture: le polemiche assurde di una chiesa irresponsabile

Inutile negarlo. La pandemia generata dal COVID19 ha colpito duramente l’Italia, mettendo il Paese in ginocchio. Sono ormai centinaia di migliaia i contagiati, e decine di migliaia i morti. In alcune parti del Paese, il numero dei morti è quadruplicato o quintuplicato rispetto al normale e in molti si sono trovati a dover piangere la perdita di parenti o amici.

E la perdita di vite umane non è l’unica conseguenza che la pandemia ha avuto, e avrà, sulle vite degli Italiani. Il blocco pressoché totale del Paese, durato un paio di mesi, sta producendo conseguenze economiche senza precedenti. Le prime stime parlano di un crollo del prodotto interno lordo italiano a fine anno intorno all’8 o al 10%. Un crollo di dimensioni mai viste nella storia dell’Italia repubblicana: basti pensare che il peggior crollo mai registrato finora fu del 5%, nel 2009, nel mezzo di una crisi finanziaria che colpì duramente il Paese. Le conseguenze sulla vita di cittadini, lavoratori, imprenditori e commercianti  saranno dure, con minori ricavi e un incremento della disoccupazione; e il debito pubblico italiano crescerà a dismisura, esponendo il Paese al rischio concreto di un fallimento.

Ieri sera, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato un primo rilassamento delle misure di lockdown, con misure che dal 4 maggio consentiranno maggiore libertà di spostamento all’interno dei territori regionali, la possibilità di visitare i propri parenti rispettando comunque le norme di distanziamento sociale, e la riapertura di alcune attività produttive.

avvenire

Nemmeno il tempo di annunciare queste misure, e già la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) attaccava il governo, criticandolo per non aver incluso tra le misure la possibilità di celebrare pubblicamente le messe. Avvenire, il giornale dei vescovi, si è lanciato in una vera e propria filippica:

“Sconcerta, preoccupa e ferisce l’orientamento – maturato, come ha sottolineato lo stesso premier, nel confronto finale tra autorità di governo e “tecnici” – a negare ancora, per settimane e forse mesi, ai credenti la possibilità di partecipare, naturalmente secondo rigorose regole di sicurezza, a funzioni religiose diverse dai funerali (gli unici finalmente consentiti). È un errore molto grave. Non si può pensare di affrontare una generale “ripartenza” che si annuncia delicatissima rinunciando inspiegabilmente a valorizzare la generosa responsabilità con cui i cattolici italiani – come i fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni – hanno accettato rinunce e sacrifici e, dunque, senza dare risposta a legittime, sentite e del tutto ragionevoli attese della nostra gente”

Polemiche, quelle della chiesa cattolica, che appaiono francamente assurde di fronte ad un Paese in ginocchio, in cui la priorità al momento è quella di far ripartire il Paese evitando allo stesso tempo assembramenti non necessari che potrebbero riaccendere nuovi focolai di contagio.

Anche perché dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, perfino ai vescovi, che a salvare le vite degli Italiani da un virus rivelatosi più letale delle attese non saranno certo le inutili preghiere che i vescovi rivolgono ad un Dio sordo o inesistente: nel mezzo di questa epidemia Dio non c’è, e se c’è se ne sta ad osservare comodo e compiaciuto la morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Alla faccia delle pie illusioni di papa Francesco e dei suoi accoliti.

Da più parti, nelle ultime settimane, sono emerse accuse spesso aspre ai cosiddetti “tecnici” e “scienziati”, colpevoli di aver “bloccato” il Paese limitando le libertà individuali, inclusa – ce lo ricorda Avvenire – quella di culto. E allora è giusto ricordare che sono proprio questi tecnici e questi scienziati ad essere stati in prima linea nella battaglia contro il COVID19: medici, infermieri, epidemiologi, autorità sanitarie e membri della protezione civile che hanno lavorato instancabilmente per salvare vite umane e limitare la diffusione del virus. A loro dovrebbe andare la gratitudine di tutti gli Italiani. Perché se non fosse stato per la loro generosità e il loro lavoro instancabile, oggi piangeremmo molti più morti e non saremmo nelle condizioni di poter mettere in atto una prima riapertura del Paese.

Insomma, è a questi “tecnici” e “scienziati” che dovremmo continuare ad affidarci, e non ai venditori di fumo della chiesa cattolica, che vorrebbero ora tornare in fretta e furia a venderci le loro panzane su un amico immaginario che è buono, generoso e onnipotente, ma forse per noia (o forse per semplice stronzaggine) avrebbe deciso di inviare sul pianeta Terra un virus capace di sterminare le fasce più deboli della popolazione.

Anziché montare polemiche sterili, i vescovi dovrebbero semmai spiegare ai loro fedeli dov’è finito il loro Dio. E perché, se davvero esiste, stia permettendo tutto questo. Non dubitiamo, ovviamente, nella loro fantasia, e nella loro capacità di produrre spiegazioni capaci di soddisfare molte delle loro pecorelle. Insomma, si sentano liberi di raccontare, ancora una volta, tutte le balle di cui sono stati sempre capaci: ma, per favore, ci risparmino i piagnistei sulle presunte violazioni della libertà di culto e sulle “ferite incomprensibili e ingiustificabili”. Perché l’Italia, nel caso non se ne fossero accorti, al momento è alle prese con ferite reali e molto gravi, e non può permettersi di perdere tempo e energie a rincorrere i vaneggiamenti di una chiesa mai così lontana dai bisogni reali degli Italiani.

Matrimoni: nel 2018 il rito civile ha sorpassato quello religioso

Nel novembre 2013, su questo blog, avevamo dato rilievo alla notizia che nel 2012 i matrimoni civili avevano raggiunto il 40% del totale. Oggi, a sei anni di distanza, Istat ha pubblicato i dati che fanno riferimento ai matrimoni celebrati nel 2018. Ed il dato più eclatante è questo: nel 2018 il numero di matrimoni civili ha superato quello dei matrimoni religiosi.

Che prima o poi questo sorpasso si sarebbe verificato, d’altra parte, lo si poteva facilmente prevedere (come già dicemmo nel 2013) andando a osservare l’evoluzione nel tempo delle percentuali di matrimoni celebrati con rito civile e religioso:La percentuale di matrimoni religiosi celebrati in Italia ammontava, nel lontano 1948, al 98% del totale. Percentuale mantenutasi pressoché invariata per oltre 20 anni. Il primo calo si verificò nel 1972, anno in cui i matrimoni religiosi passarono dal 96% del 1971 al 92%. Un brusco calo, questo, che probabilmente si spiega con l’approvazione, avvenuta a fine 1970, della legge sul divorzio.

Da allora, i matrimoni religiosi hanno seguito un inesorabile declino: 88% nel 1980, 83% nel 1990, e poi 75% nel 2000 e 64% nel 2010. I dati pubblicati oggi da Istat dicono che nel 2018 i matrimoni civili hanno toccato quota 50,1%, superando per la prima volta i matrimoni religiosi (49,9%).