Inutile negarlo. La pandemia generata dal COVID19 ha colpito duramente l’Italia, mettendo il Paese in ginocchio. Sono ormai centinaia di migliaia i contagiati, e decine di migliaia i morti. In alcune parti del Paese, il numero dei morti è quadruplicato o quintuplicato rispetto al normale e in molti si sono trovati a dover piangere la perdita di parenti o amici.
E la perdita di vite umane non è l’unica conseguenza che la pandemia ha avuto, e avrà, sulle vite degli Italiani. Il blocco pressoché totale del Paese, durato un paio di mesi, sta producendo conseguenze economiche senza precedenti. Le prime stime parlano di un crollo del prodotto interno lordo italiano a fine anno intorno all’8 o al 10%. Un crollo di dimensioni mai viste nella storia dell’Italia repubblicana: basti pensare che il peggior crollo mai registrato finora fu del 5%, nel 2009, nel mezzo di una crisi finanziaria che colpì duramente il Paese. Le conseguenze sulla vita di cittadini, lavoratori, imprenditori e commercianti saranno dure, con minori ricavi e un incremento della disoccupazione; e il debito pubblico italiano crescerà a dismisura, esponendo il Paese al rischio concreto di un fallimento.
Ieri sera, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato un primo rilassamento delle misure di lockdown, con misure che dal 4 maggio consentiranno maggiore libertà di spostamento all’interno dei territori regionali, la possibilità di visitare i propri parenti rispettando comunque le norme di distanziamento sociale, e la riapertura di alcune attività produttive.
Nemmeno il tempo di annunciare queste misure, e già la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) attaccava il governo, criticandolo per non aver incluso tra le misure la possibilità di celebrare pubblicamente le messe. Avvenire, il giornale dei vescovi, si è lanciato in una vera e propria filippica:
“Sconcerta, preoccupa e ferisce l’orientamento – maturato, come ha sottolineato lo stesso premier, nel confronto finale tra autorità di governo e “tecnici” – a negare ancora, per settimane e forse mesi, ai credenti la possibilità di partecipare, naturalmente secondo rigorose regole di sicurezza, a funzioni religiose diverse dai funerali (gli unici finalmente consentiti). È un errore molto grave. Non si può pensare di affrontare una generale “ripartenza” che si annuncia delicatissima rinunciando inspiegabilmente a valorizzare la generosa responsabilità con cui i cattolici italiani – come i fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni – hanno accettato rinunce e sacrifici e, dunque, senza dare risposta a legittime, sentite e del tutto ragionevoli attese della nostra gente”
Polemiche, quelle della chiesa cattolica, che appaiono francamente assurde di fronte ad un Paese in ginocchio, in cui la priorità al momento è quella di far ripartire il Paese evitando allo stesso tempo assembramenti non necessari che potrebbero riaccendere nuovi focolai di contagio.
Anche perché dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, perfino ai vescovi, che a salvare le vite degli Italiani da un virus rivelatosi più letale delle attese non saranno certo le inutili preghiere che i vescovi rivolgono ad un Dio sordo o inesistente: nel mezzo di questa epidemia Dio non c’è, e se c’è se ne sta ad osservare comodo e compiaciuto la morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Alla faccia delle pie illusioni di papa Francesco e dei suoi accoliti.
Da più parti, nelle ultime settimane, sono emerse accuse spesso aspre ai cosiddetti “tecnici” e “scienziati”, colpevoli di aver “bloccato” il Paese limitando le libertà individuali, inclusa – ce lo ricorda Avvenire – quella di culto. E allora è giusto ricordare che sono proprio questi tecnici e questi scienziati ad essere stati in prima linea nella battaglia contro il COVID19: medici, infermieri, epidemiologi, autorità sanitarie e membri della protezione civile che hanno lavorato instancabilmente per salvare vite umane e limitare la diffusione del virus. A loro dovrebbe andare la gratitudine di tutti gli Italiani. Perché se non fosse stato per la loro generosità e il loro lavoro instancabile, oggi piangeremmo molti più morti e non saremmo nelle condizioni di poter mettere in atto una prima riapertura del Paese.
Insomma, è a questi “tecnici” e “scienziati” che dovremmo continuare ad affidarci, e non ai venditori di fumo della chiesa cattolica, che vorrebbero ora tornare in fretta e furia a venderci le loro panzane su un amico immaginario che è buono, generoso e onnipotente, ma forse per noia (o forse per semplice stronzaggine) avrebbe deciso di inviare sul pianeta Terra un virus capace di sterminare le fasce più deboli della popolazione.
Anziché montare polemiche sterili, i vescovi dovrebbero semmai spiegare ai loro fedeli dov’è finito il loro Dio. E perché, se davvero esiste, stia permettendo tutto questo. Non dubitiamo, ovviamente, nella loro fantasia, e nella loro capacità di produrre spiegazioni capaci di soddisfare molte delle loro pecorelle. Insomma, si sentano liberi di raccontare, ancora una volta, tutte le balle di cui sono stati sempre capaci: ma, per favore, ci risparmino i piagnistei sulle presunte violazioni della libertà di culto e sulle “ferite incomprensibili e ingiustificabili”. Perché l’Italia, nel caso non se ne fossero accorti, al momento è alle prese con ferite reali e molto gravi, e non può permettersi di perdere tempo e energie a rincorrere i vaneggiamenti di una chiesa mai così lontana dai bisogni reali degli Italiani.